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Incontro a Isola Vicentina con un pittore colpito da improvviso successo.
Dalla Guarda, un sognatore con il gusto dell’anarchia
“Mi piace che i miei lavori siano considerati dissacranti, l’arte deve esserlo sempre” – Ma, intanto, trascorre le giornate nei boschi, in compagnia degli animali.

Dietro autorevoli consigli ci siamo decisi a “scoprire” Girolamo Dalla Guarda, pittore vicentino. Più di qualcuno ci aveva fatto rilevare che la pittura di Girolamo Dalla Guarda esprimeva, senza mediazioni o elaborazioni razionalizzanti, la sua personalità e la sua vita: una gioventù sofferta, la dura ricerca di una promozione, l’inestricabile groviglio dei sentimenti. Il Dalla Guarda – aveva insistito – non accarezza la realtà, ma la vive, gode a provocarla. Ma il processo della sua arte non è distruttivo: egli sa guardare con l’occhio vivo, e incantato, con una straordinaria capacità di tenerezza. Incuriositi, quindi, ci siamo recati sino a Isola Vicentina, dove risiede e dipinge Dalla Guarda e dove per vivere per “vivere” fa cartelloni pubblicitari su commissione.
Ci riceve la figlia dell’artista, Sarah, studentessa di quindici anni. Una bionda bellezza dai dolci tratti, che rammentano la serena dignità delle figure fiamminghe. “Il papà è nel bosco”, ci dice, “ma se vuole l’accompagno volentieri”. Nel tragitto vogliamo informarci di cosa ci stia a fare il papà nel bosco e Sarah risponde: “ci passa anche intere giornate. A volte pure parte della notte. Spia gli animali, i caprioli, gli scoiattoli; spia gli alberi, la luna, i rumori del bosco e poi dipinge”.
Troviamo Girolamo Dalla Guarda al centro di una radura. Il nostro arrivo lo coglie mentre disegna su dei fogli di grossa carta gialla. Li nasconde subito, accortosi che noi stiamo allungando l’occhio per sbirciare.
- E’ vero , come ci hanno detto, che il suo è un rapporto totale fra vita e arte?
“Il mio è un totale rapporto con tutto quello che mi sta intorno. Io sono innamorato della vita e penso che la pittura sia la più grande dichiarazione d’amore a essa, la più sublime”.
- Ma allora cosa prova quando dipinge?
“Devo dire che ho sempre una certa paura prima di affrontare un nuovo lavoro. E’ sempre una incognita, una strana inesplorata che mi si apre davanti e che, al contempo, mi eccita enormemente. E’ come andare a un appuntamento amoroso. Io amo anche l’amore. Sono ammaliato dalla figura della donna, che nella mia pittura riveste peraltro un ruolo della massima importanza; sento il bisogno della presenza femminile come l’aria che respiro”.
- Signor Dalla Guarda: a noi pare che anche una altra cosa abbia un ruolo determinante nella sua pittura e ci riferiamo a quella ironia che spesso, senza tante sottigliezze, ha fatto definire, dai critici, o da qualcuno che magari ci si riconosceva, “dissacrante” il suo modo di dipingere. E’ esatto?
“Sono felice che lei mi faccia questa domanda. E sono anche felicissimo che la mia arte venga definita dissacrante. Per me è un vero complimento. Vorrei che i miei quadri fossero il trionfo dell’ironia. L’apoteosi del sarcasmo e della beffa, prima di tutto verso me stesso, naturalmente”.
- Ma il “potere” offeso non la spaventa, non teme le ire che potrebbe suscitare?
“La pittura è il mezzo più efficace per controbattere il potere, di qualsiasi forma o travestimento si ammanti; il pennello è l’arma pungente per aprirsi un varco verso la libertà autentica. Una libertà che nessuna coercizione può opprimere e limitare: quella del pensiero”.
- E lei traspone nei suoi dipinti tutto il suo pensiero, tutta la sua libertà?
“Sempre e in modo inequivocabile, io non baro con la mia coscienza. Ma il mondo, nonostante tutto, è così bello, così meravigliosamente a portata di mano…”.
- Nelle produzioni più recenti, tende a trovare, ci è stato fatto rilevare, momenti e ritmi nuovi, nei temi meno spettrali, nelle figure meno tormentate, nel colore più disteso, questo è dunque il raggiungimento di un maggior equilibrio, di una maggiore maturazione?
“In tutte le esistenze vi sono delle evoluzioni, dei cambiamenti che poi si riflettono in quello che si fa, non credo di sfuggire a questa legge”.
- In cosa spera?
Ci guarda sornione e risponde: “Nella felicità, ma è un’utopia; nel poter vivere della mia pittura, il che è anche questa un’utopia; ma in fondo è tutta un’utopia…!”.
- Perché si nasconde per intere giornate in questo bosco, da solo, che significato ha per lei questo luogo?
“Io non mi nascondo, tutti possono venire, basta però che non disturbino gli animali, come è accaduto un po’ di tempo fa. Dei ragazzi ci venivano a fare le gare con le motociclette, quella volta mi sono proprio arrabbiato. In quanto al significato, posso dirle che ho trascorso la mia infanzia su questi alberi. Qui ho imparato, con l’alternarsi delle stagioni, a riconoscere tutte le gamme dei colori, ad amare la natura”.
- Si aspetta di diventare un grande pittore?
“Sì, perché ho la testa dura. Nella vita si realizza soltanto chi ha la testa dura. Non vorrei diventare grande, però, semmai solo dopo morto”.
- Quale è stata la sua ultima mostra?
“Nel mese di luglio, a Malcesine, dove è stata organizzata da quel Comune, con la presentazione di Licisco Magagnato. Lo sa che Licisco è un mio grande amico? Lui è entusiasta della mia pittura. Ha scritto sui miei quadri delle cose molto belle e gratificanti”.
- Cosa c’è in lei?
“C’è un grande sogno…in fondo io sono un anarchico, che opera all’interno delle istituzioni”.

“Il Giornale di Vicenza” il 10/10/1985 di M.T. Dirani Mistrorigo
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